Turbo: il pomo della discordia dei Judas Priest

Turbo Judas Priest

Tutti quanti abbiamo nelle nostre case almeno un oggetto che ci guarda, disperato, in attesa di essere considerato. Su questo oggetto si è posata una quantità di polvere che, abitualmente, dimorava sul nostro libro di geometria. Nel mio caso, l’oggetto in questione è il vinile Turbo dei Judas Priest. Polvere meritata?

1986. Non solo grandi capolavori metallici nel mio anno di nascita, ma anche qualche “floppone”, in my opinion. I Priest erano da qualche anno sulla cresta dell’onda, macinando capolavori su capolavori. Decisero di fare un passo che, se da un lato li aiutò a sfondare sul mercato americano (ma nemmeno troppo), dall’altro attirarono le ire dei “True european defenders of heavy metal”. Perchè? Facile: a parte qualche guizzo di classe – stiamo pur sempre parlando di fenomeni -, i pezzi sono troppo easy listening e banali per essere marchiati con lo stemma dei Priest.

L’album parte, nevvero, abbastanza bene. Turbo lover è un ottimo pezzo, dalla carica energica favolosa e con tutto il necessario per costituire una opener per il mercato a stelle e strisce; si capisce subito come l’uso del guitar synth, vero pomo della discordia del disco, la fa da padrone. Ma è un uso troppo massiccio, e non al servizio della canzone, come in Somewhere in time dei Maiden (capolavoro!). Anyway, il pezzo scorre benissimo e si stampa in testa sin da subito. Anche l’assolo dopo il secondo ritornello è valido, anche se meno al fulmicotone di altre volte.

Poi? Lo studente fa quasi scena muta, a parte Private property e Out in the cold.
La prima gode di un riff rivisitato con un autoplagio (ricorda Heading out to the highway) e presenta finalmente un refrain trascinante e quasi da stadio. Insomma, va bene i pezzi mosci, ma sono pur sempre i Judas Priest! Promossa con piena sufficienza.
La seconda ci ricorda che Rob Halford e soci – ottima la sua prova nonostante fosse reduce da un periodo di forte tossicodipendenza – sanno comporre un pezzo con i controcoglioni. Qui i guitar synth sono al servizio dell’epicità della canzone, cesellata da un riff ammorbidito rispetto alle schegge del passato, ma non per questo piatto. Consiglio l’ascolto della versione live dal “Fuel for Life tour” per rendere meglio l’idea. Molto molto trascinante e che fotografa la band coesa e compatta, pur edulcorata dalle colate di tungsteno degli album precedenti.

Gli aspetti positivi, a mio parere, terminano qui. Le altre tracce sono troppo banali, scialbe, piatte per essere vere. I testi? Idem.

Per carità: è suonato e prodotto benissimo, ma qui a mancare è proprio la materia prima. Non bastano tre buoni/ottimi pezzi a mantenere lo standard priestiano.

In conclusione, polvere meritata. Ma credo che in futuro proverò a usare lo swiffer, perché il potenziale per crescere con gli ascolti c’è.
Mal che vada, ritornerà a fare la fine del libro di geometria.

Rimandato a settembre.

“I’m your turbo lover, tell me there’s no other.
I’m your turbo lover, better run for cover”.

🤘Album: Turbo

🤘Gruppo: Judas Priest

🤘Genere: Heavy Metal

🤘1986, Prima stampa UK

🤘Voto: 55/100

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Filippo Bini autore romanzi ambientati a Bologna
Filippo Bini

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