Screaming for Judas Priest

Sreaming for vengeance Judas Priest

Esiste una band che più di ogni altra incarna il concetto di heavy metal e questi sono i Judas Priest. Essi contribuirono a creare il suono, a forgiarlo ed elevarlo di potenza e tecnica; ma inventarono anche il tipico vestiario fatto di pelle, cuoio e borchie già alla fine degli anni ‘70. Ah, già, hanno scritto anche un lotto di album leggendari, che sarà mai?

1982. Reduci dal controverso Point of entry, i Priest tornano in carreggiata con un album quanto mai innovativo, fresco e muscolare.
L’accoppiata The hellion/Electric eye (ancora oggi riproposta in setlist dalla band) cattura subito il collo dell’headbanger medio e tesse una trama molto orecchiabile, intarsiata da un riffing affilato come un rasoio cinque lame. Rob Halford, the Metal god – soprannome azzeccato – innerva la canzone con un crescendo vocale che sfocia in un refrain azzeccato e catchy come pochi. Gli assoli incrociati di Tipton e Downing ci consegnano una delle migliori aperture di platter del metal tutto.
Un terremoto batteristico del sesto Richter da parte di Dave Holland schiude le telluriche porte a Riding on the wind, vera e propria di forza di un Halford altissimo, purissimo, metallissimo. Ma è tutta la band a risplendere di luce propria, facendoci capire che abbiamo tra le mani un 33 giri da leccarsi i baffi.

Screaming for vengeance prosegue su ritmi serratissimi, tra up e mid tempos sapientemente alternati tra loro, ma sempre di un livello medio elevato.
Altri highlights dell’album sono la favolosa You’ve got another thing coming, meno tirata, meno violenta ma più in linea con l’album e grondante di classe. Primo singolo estratto e corredato di videoclip, il pezzo è strutturalmente considerabile un hard rock quasi zeppeliniano, pregno di melodia più orecchiabile, ma non per questo meno potente. Uno strizzare l’occhio al mercato americano senza svendersi agli occhi dei propri fan.

Più in generale, tutto il vinile è attraversato da una mistura di potenza, tecnica e arrangiamenti maestosi, assolutamente all’avanguardia nel 1982.
Se mai vi foste chiesti del perché batto spesso il chiodo del metal come genere bistrattato, che è anche uno dei leit motiv del mio primo romanzo, la risposta sta nella ballad Prisoner of your eyes, bonus track dell’edizione in mio possesso.
Fate contento un povero appassionato: ASCOLTATELA.
E poi ripetete come i credenti durante il rosario con le quaranta ave maria:

“L’heavy metal è un genere musicale scritto, suonato e cantato per la maggior parte da musicisti sopraffini e tecnicamente straordinari”.

Vi sentirete meglio e (forse) vorrete riascoltare i capolavori dei Judas Priest, battendovi il capo sul perchè non l’abbiate fatto prima d’ora.

A parte le battute (che battute proprio non sono), questo album ci consegna una band al top della forma come non mai e destinata, tra alti (molti) e bassi (pochi), a regnare sul trono di chitarre per altri quaranta anni e oltre.
Costituendo, assieme agli Iron Maiden e ai Black Sabbath, la sacra triade su cui poggia il vangelo degli adoratori del Metallo.
Per sempre nei secoli dei secoli.

Horns up.

“I’m made of metal, my circuits gleam.
I am perpetual I keep the country clean”.

🤘Album: Screaming for vengeance

🤘Gruppo: Judas Priest

🤘Genere: Heavy Metal

🤘1982 First Press, UK

🤘Voto: 90/100

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Filippo Bini autore romanzi ambientati a Bologna
Filippo Bini

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