Chi bazzica certi lidi musicali estremi, sa benissimo che vi è un pre e un post Reign in blood. Perchè oggi vi parlo del disco che schiuse le porte al metal estremo, senza se e senza ma. Dopo di esso, nulla sarebbe stato come prima.
1986. Forti della produzione del già Re Mida Rick Rubin, gli Slayer misero a ferro e fuoco il mondo della musica con una scheggia impazzita di thrash metal, che ancora oggi penetra nelle carni e lascia ferite mortali.
“Auschwitz, the meaning of pain, The way that I want you to die”.
Le parole del cantante Tom Araya inaugurano Angel of death, opener del disco, a seguito di un urlo lacerante e di un drumming ossessivo. Il testo ci ricorda l’operato del criminale nazista Mengele, che compiva brutali esperimenti nel famigerato campo di sterminio polacco. Musicalmente parlando, siamo di fronte al manifesto dell’estremismo musicale degli anni ottanta, un perfetto connubio di riff punk e ritmiche hardcore partoriti dal geniale chitarrista Jeff Hanneman (r.i.p.). Inutile dire che scatenò ovvie e ferocissime polemiche per via delle tematiche descritte.
Tutto il platter (trenta minuti scarsi di durata, a proposito di scheggia) è un susseguirsi di pezzi blasfemi e velocissimi, scanditi dal doppio pedale martellante di Dave Lombardo e innervati dal cantato ora lancinante, ora tendente allo scream di Tom Araya, e dai fraseggi cacofonici e tiratissimi degli axemen Hanneman – King.
Le liriche variano dalle tematiche antireligiose (Jesus saves) ai serial killer, infine trattano di efferati criminali, scandendo le loro azioni in un tritacarne che non lascia scampo a chi vi si approccia per la prima volta. Ecco, nella fattispecie capirei nello specifico la definizione “Il metal qui è tanto rumore”; non vi consiglio infatti di partire da questo disco, quanto di avvicinarvi per gradi al genere. Sì, meglio con gli Iron Maiden.
Tutta la mezz’ora scarsa del platter è attraversata da un’atmosfera malsana, lugubre, eppure schizofrenica. Il primo momento di stasi, ancorché effimera, riguarda l’intro di Criminally insane. Questa viene attraversata chirurgicamente dal ride di Lombardo, che crea un’atmosfera pregna di cattiveria e preannuncia la bolgia infernale da girone dantesco che si aprirà a breve; tonnellate di riff a pioggia interrompono la stasi di cui sopra, con Araya a scandire un copione di efferata malvagità:
“Night will come and I will follow, for my victims, no tomorrow”.
Un capitolo a parte merita il pezzo finale, la celeberrima Raining blood, sapientemente introdotta dalla luciferina Postmortem. Come un furioso temporale estivo, Raining blood si apre con un tuono lacerante (letteralmente!), dal quale fuoriesce una pioggia di sangue che costringe il malcapitato ascoltatore a cercare riparo. Gli Slayer martellano i nostri timpani con un riff che farà scuola alle band estreme degli anni novanta, accompagnato dal tupa tupa di Lombardo – che miete vittime – e da Tom Araya che ci vomita addosso un testo da brividi, altro che ritornello dei tormentoni spagnoli alla radio:
“Raining blood, from a lacerated sky.
Bleeding its horror, Creating my structure.
Now I shall reign in blood”.
Le parole non danno adito a fraintendimenti.
Un altro tuono chiude una canzone e un disco leggendari, per le caratteristiche intrinseche sopra descritte.
Potete uscire dai vostri ripari, la pioggia di sangue è finita. Devo altresì constatare che ha prodotto danni notevoli e difficilmente rimediabili…
🤘Album: Reign in Blood
🤘Gruppo: Slayer
🤘Genere: Thrash Metal
🤘1986, Prima stampa Usa
🤘Voto: 100/100