Il 2022 annovera tra le sue file alcuni anniversari di tutto rispetto a livello discografico in ambito rock e metal. Tra questi, entra negli “anta” The number of the beast, immarcescibile capolavoro degli Iron Maiden, un album che contribuì (non senza poche polemiche dei soliti noti) a sdoganare l’heavy metal al grande pubblico.
1982. Da dove inizio? Dalla stupenda copertina di Derek Riggs? Dalla produzione come al solito perfetta di Martin Birch? No. Entra in scena sua maestà Bruce Dickinson, il cantante/performer/frontman/compositore che tutti vorrebbero nella propria band. Air Raid Siren, così soprannominato per la sua abbacinante estensione vocale, aveva raggiunto la band nel 1981, a seguito dell’allontanamento del pur valido Paul di Anno; Dickinson innestò negli Iron Maiden tutti gli stilemi che li faranno grandi da lì in avanti.
Vediamo come e perché, analizzando i brani più rappresentativi.
🤘The number of the beast: semplicemente la canzone più iconica dell’heavy metal tout court. Il testo, oggetto di levate di scudi assai bigotti, in realtà altro non è che la trasposizione di un incubo del bassista e leader Steve Harris, a seguito della visione di un film. Musicalmente, siamo di fronte a galoppate di basso, ad assoli grondanti di pathos del duo Smith/Murray e ad acuti impressionanti da parte di Dickinson. Tra i dieci pezzi metal di tutti i tempi.
🤘Run to the hills: brano dedicato alle guerre indiane, visto dal punto di vista dei pellerossa e da quello dell’invasore bianco (“Run to the hills, run for your lives”), che si colloca sempre in fondo alle loro scalette dei concerti. Semplice, coinvolgente, diretto e immediato. La grandezza di questa song risiede nelle terzine di basso di Harris, che ripropongono il galoppo dei cavalli e che faranno scuola negli anni a venire.
🤘 Hallowed be thy name: con il titolo che riprende un verso del Padre Nostro, il brano, pregno di pathos e malinconia, descrive gli ultimi istanti di vita di un condannato a morte, il quale ripercorre il suo passato. Le campane poste in apertura, malinconiche, rimarcano il destino ormai segnato del disgraziato, in attesa del boia che ponga fine alla sua vita. Immaginatevi tutto questo interpretato in maniera struggente da un Bruce Dickinson in stato di grazia, qui alla sua prima vera interpretazione da attore consumato. Miscelate con due splendidi solos e con le rullate secche e potenti del compianto batterista Clive Burr (qui al suo ultimo disco con gli Iron Maiden). Otterrete, come nei migliori cocktail, una amalgama perfetta da tramandare ai posteri.
Tutte le altre cinque canzoni presenti nel disco, ognuna con le sue caratteristiche, rappresentano delle vere e proprie perle, che farebbero le fortune di qualsiasi band. Basta questo per elevare The number of the beast a pietra miliare di un movimento, il metal, che vide negli anni ottanta il momento di massima popolarità, pur rimanendo un fenomeno talvolta deriso e malvisto dalla società presunta buona e benpensante. Immagino ( e un po’ invidio, lo ammetto) lo stupore di un ragazzino che ascolta per la prima volta gli Iron Maiden, perché mi rivedo in lui.
Gli consiglierei di sedersi, rilassarsi, allacciare le cinture e tenersi forte: per lui il viaggio musicale sta per iniziare.
“When you know that your time is close at hand.
Maybe then you’ll begin to understand,
Life down there is just a strange illusion”
🤘Album: The Number of the Beast
🤘Gruppo: Iron Maiden
🤘Genere: Heavy Metal
🤘1982, Prima stampa Uk
🤘Voto: 95/100