Cito dalla Treccani: “La dichiarazione d’intenti è un documento ufficiale o ufficioso con cui un organo politico o amministrativo prospetta l’intenzione a un altro organo, dello stesso o d’altro Paese, di giungere a un accordo, di concludere un trattato, di stringere un preciso rapporto, o si impegna a seguire il comportamento o mantenere le obbligazioni a cui viene subordinato l’accoglimento di una determinata richiesta”. Ecco, Defenders of the faith rappresenta il patto che i Judas Priest suggellarono con il pubblico metallaro dell’epoca.
1984. Coadiuvati dal fuoriclasse Tom Allon dietro la consolle, i Priest limarono ulteriormente il confine tra ottimo album e capolavoro.
L’up tempo velocissimo (per l’epoca) di Freewheel burning inaugura le danze e si sorregge sulle vocals mostruose di Rob Halford (il Metal God per tutti) e sulla chitarra urlante di Glenn Tipton, sugli scudi nell’assolo.
Nel caso siate sopravvissuti al primo assalto frontale, il main riff di Jawbreaker vi assalirà con il suo incedere marziale; Glenn Tipton e KK Downing vi entreranno sottopelle con le loro chitarre, prima che il maestro cerimoniere Rob Halford decanti un testo quantomeno ambiguo (pare chiaro il riferimento a una prestazione sessuale), sorretto da rotonde linee di basso di Ian Hill e dalle secche rullate del batterista di allora Dave Holland.
Una partenza da difensori delle fede, nello specifico del metallo.
Rock hard, ride free rappresenta un epico inno da stadio, immaginando dal vivo il Metal God Rob Halford toccare picchi vocali inumani; chi lo ha sentito in concerto sa cosa intendo.
Il lato A del platter si conclude con The Sentinel, anthemica canzone heavy metal dalle tinte dark; si apre infatti con il riff per eccellenza, un ritornello che solo Halford potrebbe replicare e, passando per uno scambio di acuminati assoli e un classico e tetro interludio priestiano, si conclude come è iniziata. Applausi!
Del lato B rimangono impresse, o almeno a me lo sono restate:
- Eat Me alive; tre minuti e mezzo di assalto sonoro da parte di riff indiavolati, innervati da Halford che decanta, questa volta senza ambiguità, di una prestazione sessuale piuttosto esplicita. Il testo fu sottoposto a feroci e becere censure negli Stati Uniti.
- Some heads are gonna roll, ovvero come comporre melodie più catchy (orecchiabili) senza per questo perdere una singola oncia di metallo, né svendersi al mercato. Il testo imprime una chiara critica ai potenti della terra (Some heads are gonna roll significa “Qualche testa rotolerà”), per ricordare che l’heavy metal rappresenta anche, e soprattutto, un granaio di ottimi compositori.
Terminato il disco? Ora tornate all’inizio della recensione, rileggete le parole della Treccani e riflettete sul fatto che questa perla di album rappresenta una dichiarazione d’intenti dei Judas Priest: “Siamo noi i Difensori della Fede”.
No, ancora una volta non quella religiosa…
” Sworn to avenge, Condemn to Hell
Tempt not the Blade, All fear the Sentinel”
🤘Album: Defenders of the Faith
🤘Gruppo: Judas Priest
🤘Genere: Heavy Metal
🤘1984, Prima stampa UK
🤘Voto: 95/100