Holy diver

Holy Diver Ronnie James Dio

Il 16 maggio del 2010 non riuscii a godere appieno per lo scudetto della mia Inter. L’irrefrenabile gioia fu turbata dalla notizia della scomparsa di Ronnie James Dio, cantante che aveva contribuito ad alcune pagine indimenticabili dell’heavy metal; oggi vi voglio parlare, cari readers, del suo album Holy diver.

1983. Reduce da due capolavori con i Black Sabbath (Heaven and hell e Mob rules), Dio (mi scuseranno i più, ma era chiamato così) decise di intraprendere la carriera solista.
Arruolò pertanto Vivian Campbell alla chitarra, Jimmy Bain al basso e tastiere e Vinny Appice alla batteria.
Risultato? Una fantastica opera di heavy metal.

L’aggressiva opener Stand up and shout, un vero e proprio schiaffo in faccia, è impreziosita da un riff classico e dalla poliedrica voce di Dio, qui in una delle sue migliori interpretazioni. Un’atmosfera tempestosa, che sembra precedere qualcosa di terribile, introduce la titletrack, un mid tempo scandito dal drumming potente ed essenziale di Appice.
Holy diver rimarrà scandita nel tempo come una delle migliori songs heavy metal, perché impreziosita da atmosfere stranianti, eppure così classicheggianti allo stesso tempo. Anche i testi ci parlano del perdersi in un oceano tenebroso per tanto tempo e del doversi emancipare dai demoni per riuscire a rivedere la luce in fondo al tunnel. Un compendio di musica rocciosa e di gran classe, contornata da atmosfere oniriche e un sottofondo fantasy che pervade il tutto.

L’album scorre che è una meraviglia, fino ad arrivare a un altro cavallo di battaglia: Don’t talk to strangers. Immaginate di trovarvi in una strada stretta e tenebrosa e di vedervi davanti all’improvviso un malintenzionato, capace di ogni cosa (anche di condurvi alla follia). Il deflagrare strumentale e la roboante voce di Dio vi offrono una via di fuga verso la salvezza, una nave verso un porto sicuro.

“Run, run, run, run away”

Siamo quasi giunti al termine del nostro viaggio “divino” (sì, perché gli album di una volta – nostalgia canaglia! – erano composti da 8/9 pezzi al massimo) e, rullo di tamburi, manca ancora Rainbow in the dark. Meno oscura delle precedenti, è introdotta dalle riuscitissime linee di tastiera di Bain; quello che appare chiaro è la perfetta fusione tra melodie catchy (orecchiabili) e l’heavy metal classico che più anni ’80 non si può.
La magia dei colori dell’arcobaleno risplende in questa canzone di contrapposizione buio/luce…

“No sign of the morning, You’re a rainbow in the dark”

…e ci accompagna per quattro minuti abbondanti, lasciandoci alla fine la voglia di premere immediatamente il tasto “repeat”. Un ringraziamento particolare al magniloquente assolo del mai troppo celebrato Vivian Campbell.

In conclusione, ci troviamo di fronte a un riuscitissimo esempio di heavy metal classico, altamente ispirato e impreziosito dall’ugola d’oro di Ronnie James Dio, nonchè dalla presenza di tre ottimi musicisti, che trovarono in studio di registrazione un amalgama eccezionale.

Nota didattica a margine, alla quale tengo molto. Il gesto delle corna fu eseguito per la prima volta proprio da Ronnie James Dio (lo ereditò dalla nonna di origine italiane, a quanto pare persona molto scaramantica) e si esegue SENZA il pollice. Quindi, se volete proprio fare un gesto rock, questo è il simbolo corretto: 🤘

Quello con il pollice è un gesto proveniente dalla cultura hippie, che con l’heavy metal c’entra come il sottoscritto a un concerto trap.
Niente.

Long live rock n’ roll!

🤘Album: Holy Diver

🤘Artista: Ronnie James Dio

🤘Genere: Heavy Metal

🤘1983, Prima stampa Olanda

🤘Voto: 88/100

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Filippo Bini autore romanzi ambientati a Bologna
Filippo Bini

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