Master of puppets

Master of puppets Metallica

“Probably the best album in the metal world”.

Parafrasando la pubblicità di una celebre birra, mi appresto a sviscerare l’anima di Master of Puppets, forse il più iconico disco di musica pesante anni ’80.
Sicuramente, uno di quelli che ha tracciato la strada negli anni a venire.

1986. L’incidente nucleare di Chernobyl, Maradona che segna il goal del secolo e replica con la “Mano de dios”, esce il film Top Gun, i Metallica pubblicano Master of Puppets.
La band si era già issata a capo del thrash metal e aveva adescato milioni di fan in tutto il mondo con l’acerbo ma deflagrante Kill’em all  e l’evoluzione di Ride the lightning. Accompagnati in studio dal fido produttore Fleming Rasmussen, il quartetto di Frisco si accingeva a dare alle stampe un monolite di rabbia, tecnica, violenza e ispirazione creativa con pochi eguali.

Battery apre il rito liturgico con un dolce arpeggio, spezzato dopo meno di un minuto da un riff violento e scarno, al quale si sovrappone ben presto la veemenza del batterista Lars Ulrich, qui alle prese con rullate pesanti come macigni. L’ingresso della voce di James Hetfield coglie di sorpresa e ci sputa una manciata di versi intrisi di dolore e di violenza fisica. Magistrale l’assolo di Kirk Hammett, miglioratissimo in quegli anni.
Quando pensi che il meglio sia posto in partenza, la title track (con la celebre invocazione “Master! Master!”) spazza letteralmente via il dubbio sulla mostruosa qualità del disco. Il tema della tossicodipendenza la fa da padrone nei testi.

“End of passion play/crumbling away,
I’m your source of self-destruction”.

I Metallica accompagnano le liriche con un crescendo di pathos, violenza e gusto per la melodia. Prima e dopo, nel genere, non si farà meglio di così. Lisergico e luciferino l’assolo di un ispiratissimo Hammett, ma è tutta la band a scrivere la storia del metal in questi otto minuti.
Giù il cappello, la tuba e tutti i copricapi di questo mondo.

Triplice fischio e tutti a casa? Niente affatto. Vi dice niente Orion? Splendido brano strumentale, dalla partitura molto intricata e che mette in luce il genio mai dimenticato del bassista Cliff Burton, fa da apripista alla conclusiva Damage Inc.. Questa sassaiola dal sapore speed-metal, rievoca le origini dei Four Horsemen e risveglia i nostalgici di Kill ‘em All, mixando la scarica di adrenalina con un suono compresso e modernissimo.

I quattro brani centrale del platter (The thing that should not be, Welcome home (Sanitarium), Disposable heroes e Leper messiah) farebbero le fortune di qualsiasi gruppo e contribuiscono ad amalgamare il disco e a farlo entrare di diritto nella leggenda.
Tutto si incastra alla perfezione, i pianeti si allineano.
Siamo di fronte all’eclissi del secolo, con gli ascoltatori a bocche e orecchie aperte per cotanta magnificenza.

Come “The shot” di Michael Jordan  nel finale di gara-6 delle finals Nba, anno 1998.
Andate a vedere le espressioni degli spettatori di Salt Lake City.

“Come crawling faster – Obey your master – Your life burns faster.

Obey your Master! Master!”


🤘Album: Master of puppets

🤘Gruppo: Metallica

🤘Genere: Thrash metal

🤘1986 – Prima stampa Europe

🤘Voto: 100/100 cum laude

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Filippo Bini autore romanzi ambientati a Bologna
Filippo Bini

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